Circolo Nautico del Savio

Matteo ci racconta la “sua” Transat

anche gli ultimi hanno tagliato il traguardo…


In questi giorni mi riecheggiano le parole del nostro Stefano Paltrinieri che pochi giorni dopo il mio ritiro mi disse: «Caro Matteo preparati al periodo più brutto della tua vita; finchè questa maledetta regata non sarà finita, ti tormenterà tutti i giorni e tutto il giorno.»
E così è stato.
Vedere gli arrivi alle Canarie in quella bonaccetta, in poppa fatta apposta per Spot, e la gioia degli skipper mentre tagliano il traguardo dopo quasi 3000 miglia di planate, non è stato per niente facile.
Ma la Transat è anche questo, in media il 10% dei partecipanti non arriva al traguardo vuoi per scarsa preparazione, per incidenti o semplicemente per pura e semplice sfortuna, e ogni skipper sa che potrebbe essere uno di quel 10%.

Le regate d’altura come queste, ed in particolare la Mini, non sono solo eventi sportivi. Girando tra i pontili addobbati a festa con tutti quei gran pavesi a riva, ti rendi conto che ci sono 81 diverse Transat che lasceranno quei pontili.
Ogni skipper parte per motivazioni e con obiettivi completamente diversi uno dall’altro.
C’è il regatante, l’avventuriero, il sognatore, il navigatore… ed ognuno di loro è arrivato a quei pontili con una storia da raccontare e con un sogno che, da lì a pochi mesi, diventerà qualcosa di più grande.
La mia storia è una storia di passione e non di agonismo, anche se con un poco di egoismo e presunzione volevo dare fastidio a barche molto più nuove con la mia Spot, la più vecchia della flotta e sistemata “in cantiere” da me.

La Transat di Matteo

Comunque sia voglio raccontarvi la mia breve storia che inizia dal momento in cui ho mollato gli ormeggi dal porto de La Rochelle il 1° ottobre.
Lasciare quel pontile dove Samantha, mio fratello e tutti gli amici erano venuti a salutarmi, è stata una cosa che, ancora oggi, faccio fatica a ricordare senza sentire il cuore in gola. Sentire la barca ricevere il primo strattone dal gommone e tutti attorno ad applaudire e gridare il tuo nome, lo speaker che annuncia il tuo passaggio, quel ponte alzato gremito di gente venuta ad applaudirti, anche se non sei nessuno, è stata una sensazione incredibile.

Percorrendo il canale ad aspettarci c’era la nostra “barca stampa” di Ambeco e della Classe Mini Italia con a prua Laura Doria, che mi ha seguito in questo progetto fin dai primi anni, ed incrociando il suo sguardo mi sono reso conto che non riuscivo a contenere tutta la mia emozione…
Ho pianto di gioia per quasi un’ora mentre, in avvicinamento alla linea di partenza, issavo la randa ed il genoa.
Girando avanti e indietro mi sono reso conto che la parte più dura e più pericolosa l’avrei dovuta affrontare nelle ore successive.

Un’incessante pioggerellina e una fitta nebbia rendevano la visibilità ridotta a pochi metri e quindi era impossibile vedere l’intera linea di partenza, e muoversi tra una flotta di 80 barche è stata un’impresa veramente impegnativa.
La mia partenza è stata davvero caotica; mentre cercavo di capire dove era la linea, stavo lontano dalle altre barche e ascoltavo per radio le comunicazioni che dicevano qualcosa come un “disimpegno cancellato” o qualcosa di simile.
I minuti sono diventati secondi e, senza quasi accorgermene, 5-4-3-2-1 via, la mia Transat era iniziata.
Per tutta la prima bolina non avevo la più pallida idea dove andare, sapevo solo che il cancello era da qualche parte così ho seguito la flotta guardando la loro rotta dall’ais.
Quando ho capito dove si trovava il cancello l’ho passato, una virata e con le mure a dritta mi sono allontanato dalla costa.

Completato il matossage e riempito il ballast ero finalmente in regata. Ho provato a dormire un po’ in pozzetto, benedetta la mia nuova tuga a due piani, con un occhio sempre verso l’AIS per controllare le altre barche.
Dietro di me un Nacira che, per mia sorpresa, non guadagnava terreno. Ero sorpreso da Spot che in quelle condizioni non è mai stata “brillante”, ma evidentemente tutto quel materiale, l’acqua, il ballast e il suo non leggero skipper riuscivano a darle quella spinta in più.
Non so quanto sono riuscito a dormire, forse qualche minuto, e finalmente la prima Vacation. Per fortuna il mio numero è tra i primi ad essere chiamato e non ho dovuto passare troppo tempo ad ascoltare la radio.

Un piccolo consiglio, ragazzi se volete fare la Transat vi tocca imparare il francese, cercare di farsi capire dalle barche appoggio in inglese è quasi impossibile. Ringrazio le mie poche lezioni di francese per avermi fatto rientrare in sicurezza, riportando la barca sana e salva.

Non ho segnato molte posizioni, ero solo curioso di capire come ero posizionato in generale, anche se già con l’AIS un’idea me la ero fatta; circa metà flotta, un gran risultato per la mia piccola Spot di 27 anni.

Ormai la notte era già calata e uscendo da sotto coperta uno spettacolo incredibile; le nuvole, diradandosi per un breve lasso di tempo, hanno lasciato spazio ad un cielo stellato unito ad un mare altrettanto stellato dalle quasi cento luci di via attorno a me. Uno spettacolo stupendo e terrificante allo stesso tempo, se si pensa che basta poco per una collisione fatale.

A farmi compagnia ci sono state le chiacchiere con gli altri italiani. Ho sentito Manu (Emanuele Grassi) e poi Luca Sabiu, che ci ha avvisati di avere ancora problemi con il pilota. Con Ambrogio una chiacchierata del più e del meno e anche lui, come me, aveva problemi a stare sveglio, ma alla fine di bolina in quelle condizioni il pilota faceva il suo dovere davvero bene.

«Sì, è davvero difficile stare sveglio Bogi»… e poi quel suono che non scorderò mai, come un ramo che si spezza.
La barca si raddrizza di colpo e io urlo qualcosa alla radio; che Bogi non sentirà mai visto che l’antenna era già sott’acqua.
Mentre corro fuori, liberandomi dai teli anti rollio, so esattamente cosa troverò; l’incubo che ho da quando ho scelto quell’albero si è avverato.
Guardando verso prua ci sono solo le vele stese sottovento e un troncone di un metro steso in coperta.
Corro alla radio per chiamare Bogi e ci metto qualche secondo per realizzare che la mia antenna è sott’acqua, assieme alle mie speranze di finire questa Transat.

Prendo l’antenna di riserva e provo di nuovo a mandare la mia chiamata di soccorso, che dall’agitazione mi è uscita in un misto di anglo-italo-francese.
Non avete idea della felicità nel sentire la voce di Marta Guemez, che rispondendomi in italiano, farà da ponte radio con la barca appoggio.

La mia Transat era finita.

Mi è bastato guardare i tre pezzi dell’albero per capire che non sarei mai riuscito a riparare, ed in più, nella mia testa, ero convinto di essere molto vicino a terra e cominciava a salire il terrore di finire non so dove spiaggiato o a scogli perdendo definitivamente la mia Spot.
Sarò sempre grato a Marta e alle sue parole; “Matteo, adesso devi pensare alla tua barca. Riporta a casa la tua barca, trova un modo!!”
Ho preso un coltello per tagliare e buttare tutto in mare. Dovevo liberare lo scafo perchè sentivo l’albero sbattere nello scafo, ma per fortuna, dopo aver tagliato qualche centinaio di euro di drizze e di sartie, mi sono reso conto che potevo almeno salvare le vele. E’ così cominciata la mia lotta per portare in coperta il troncone di albero più lungo con ancora tutta la randa attaccata.

Per il genoa è stato facile: ho tagliato lo strallo e ho raccolto la vela sfilandola da sotto e raccogliendola in coperta.
Una volta portato in coperta il pezzo di albero, che occupava tutta la barca, ho cominciato a tagliare tutta la ralinga e ad arrotolare la randa per fare ordine.
E’ stato un lavoro straziante e a complicare le cose anche il mal di mare. Ho impiegato quasi un’ora solo per fare ordine e togliere tutto dall’acqua.
Esausto, sono andato sotto coperta per capire cosa fare e dove andare.
Ma appena entrato la barca era piena d’acqua, sul momento ho avuto il terrore che l’albero avesse bucato lo scafo e ho cominciato subito a togliere l’acqua con il secchio.
Tirato fuori la carta, mi sono reso conto che per tornare a La Rochelle dovevo darmi una mossa e creare un armo di emergenza per avanzare.

L’armo di emergenza ed il rientro

Per mesi avevo immaginato e visualizzato ogni tipo di avaria tra cui anche l’armo di fortuna, ma come spesso accade, la realtà supera sempre l’immaginazione ed era impossibile pensare di tagliare il troncone rialzandolo da solo, modificare le sartie, lo strallo e le volanti nelle mie condizioni.
Se avessi avuto a disposizione qualche giorno sarebbe stato fattibile, ma in poche ore era inutile anche pensarlo.
Così ho montato la tormentina sul bompresso, mollando quasi del tutto il basso in modo che stesse più alto possibile, usando il punto di drizza come scotta.

Finalmente riuscivo a navigare a 2,5 nodi: 40 miglia in una giornata e sarei arrivato a terra… Peccato però che con “tutta quella tela” a prua la barca non riusciva ad orzare e quindi La Rochelle era irraggiungibile.
Punto Spot verso Royan, il porto più vicino e facilmente raggiungibile nelle mie condizioni.
Le ore prima dell’alba sono un totale vuoto. Ricordo solo che sono quasi svenuto dalla stanchezza e dalla fatica. La mattina dopo ho provato a spiegare i miei piani alla barca appoggio, senza troppo successo.
Il giorno successivo è stato molto tranquillo e sono riuscito a recuperare un po’ di sonno e di energie, mentre cercavo inutilmente di raggiungere Royan via radio.
La mia salvezza è arrivata grazie ad un peschereccio che, passando vicino alla mia posizione, sono riuscito a contattare riuscendo così, con non poca fatica, a fargli fare da ponte radio per organizzare il traino dentro il porto.

Traino senza il quale sarei davvero finito nei guai, e forse Spot non ne sarebbe uscita intera. Royan infatti ha un’entrata davvero difficile, con secche fino a 10 miglia dal porto, ed entrare in bassa marea con un armo di fortuna sarebbe stato una pazzia.
La mia Transat è durata poco più di 12 ore… forse la più corta di tutte e questo è stato sicuramente un colpo davvero duro da mandare giù.
Se mi guardo indietro vedo solo quella linea di partenza ancora così vicina… ma solo ora mi rendo conto che io e Spot non siamo partiti da quel punto: la mia Transat è iniziata 5 anni fa e ci sono quasi 5000 miglia di allenamenti, regate e qualifiche dietro di noi.

Tutto il percorso che mi ha portato alla partenza del 1° di ottobre non potrà mai essere cancellato e quella gioia nel passare attraverso quella chiusa rimarrà impressa ben di più di un semplice disalberamento.
L’albero nuovo tra pochi giorni sarà pronto e non vedo l’ora di riportare Spot a casa per tornare in mare, anche perchè il 2019 è dietro l’angolo e Spot freme per tornare in Oceano.
Un grazie enorme ai miei sponsor che anche dopo la mia disavventura hanno deciso di appoggiarmi per le mie prossime attività e tutte le innumerevoli persone che hanno reso possibile questa impresa! Spot non si ferma e io nemmeno.

Ci rivediamo in mare!!